L’idea folle di un reality a un passo dal nichilismo
Non ho nulla da dire in merito ai concorrenti. Sono stati tutti selezionati con abilità. Rappresentano dei characters, come direbbero i britannici. Personaggi diversi tra loro, qualcuno persino improbabile. Proprio quello serve nella commedia dell’arte, o in una rappresentazione teatrale. Non commento nemmeno il ruolo di Simone Moro, che nella serie televisiva ha saputo ricavarsi il ruolo di guru. E non mi dilungo sulla voce fuori campo, esagerata e buona solo per épater les bourgoises. Ma a questo punto mi rifiuto di andare oltre. Per una precisa scelta. Voglio uscire dalla logica dell’adventure game di RAI2. E mi ritaglio per le critiche una posizione diversa. Preferisco fermarmi al reality, senza addentrarmi nel plot narrativo del serial televisivo, che lascio volentieri alle unghie affilate di altri commentatori. E mi indigno, perché l’idea dì montagna che viene propagandata è banale, stupidotta, sa di cliché, e oltretutto finirà davvero per far danni. A guardare la trasmissione, sembra che il gruppo del Monte Bianco sia stato creato con l’unico scopo di far divertire la gente. Di più: che sia una gigantesca ribalta per mettere in scena delle auto-rappresentazioni roboanti, in una sorta di narcisismo dal sapore eroico. Una prospettiva che mostra la montagna come il fondale di una recita in cui il soggettivismo dilagante nella contemporaneità la fa da padrone. Tralasciando l’abuso degli elicotteri per il trasporto in quota dei concorrenti, l’idea di montagna consegnata dal reality all’immaginario diffuso è una follia. Una beffa nei confronti di quel grumo di altissime terre raggruppate intorno alla vetta del Bianco e al loro significato più profondo. Non ho nessuna intenzione di parlare di sacralità della montagna. Servirebbe solo a farsi tacciare di bigottismo. Mi fermo sulle conseguenze della frantumazione dei simboli delle alte quote, e dell’aura di mistero dell’alta montagna. Anche perché la loro erosione è una delle colpe più gravi di cui la contemporaneità può macchiarsi. Quando i simboli non hanno più nulla da dire – e il mondo verticale, privo del suo senso intrinseco finisce per apparire allo sguardo collettivo un semplice castello di roccia e di ghiaccio – si è a un passo dal nichilismo. Le preoccupazioni circa il possibile contagio del mondo alpinistico mi lasciano invece freddo. Nei suoi duecentotrenta anni di storia, l’alpinismo dovrebbe aver ampiamente acquisito gli anticorpi per difendersi. Se ancora non l’ha fatto, è il caso che lo faccia in fretta, io mi preoccupo invece della Montagna. È questa che deve essere difesa a ogni costo. Il Monte Bianco, nel cuore di un’Europa antropizzata fin nei suoi angoli più reconditi, dovrebbe essere considerato da tutti un miracolo della natura. Non solo da chi lo frequenta ma anche da chi non deve sentirsi obbligato a incontrarne l’anima.
Roberto Mantovani, Corriere della Sera, pagina bergamasca, 17 novembre 2015
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Di: Roberto Mantovani
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